Spinto dall’amico Franco Amigoni ho letto con attenzione l’articolo “Macché utopie, il telelavoro è una trappola” di Eugeny Morozov. (vedi Corriere della Sera-La lettura 30 dicembre 2012)
L’articolo parla di un mondo in superamento “il telelavoro”. Il “telelavoro” non è il futuro, è il passato; tanta fatica per nulla.
In realtà il “telelavoro” si rifà ad una tipologia di tecnologia che presuppone la presenza di una postazione fissa (P.C.) per accedere ad internet.
Insomma la scrivania non sta in ufficio, sta in casa.
L’avvento dei tablet e dei device mobili (ci si collega alla rete ormai da questi device più che dal “personal computer”) e del cloud computing (le piattaforme SAAS/Software as a Service) fa si che sempre di più si potrà lavorare in mobilità, o in luoghi “informali”.
La polarità novecentesca “casa”, “luogo di lavoro” sta avviandosi ad essere superata e con essa una idea di città.
Morozov ci sta parlando quindi di un mondo e di fenomeno in via di superamento.
I principali istituti di ricerca prevedono che nell’arco dei prossimo decennio la maggioranza delle persone lavoreranno in mobilità.
E’ l’avvento dell’epoca dei “coworker” e dei “nomadworker”, è il superamento degli “houseworker” e del fordismo.
Alcune ulteriori osservazioni le vorrei dedicare alla qualità e alle tipologie lavorative.
Normalmente il telelavoro è stato affiancato ad attività lavorative routinarie e di scarso valore intellettuale nel mondo impiegatizio e della Pubblica Amministrazione.
La grande quantità di coloro che lavorano da casa sono donne costrette -loro malgrado- all’attività di cura, a persone con difficoltà motorie o diversamente abili, agli infortunati ecc..
Sono attività spesso dequalificate, misurabili quantitativamente, e non qualitativamente.
Oggi siamo in presenza di un’altra rivoluzione indotta dalle tecnologie I.T. e dal fatto che la conoscenza (anche quella degli organismi aziendali) è figlia di processi “bidirezionali” conseguenza dell’estendersi del social networking (ad esempio il crowdsourcing come forma di condivisione per generare valore economico e sociale).
Questa è la grande novità.
Nel formarsi del valore di una merce la componente di “intelligenza” è superiore a quella del “manufatto in sé”.
Chi lavora (lavorerà) in mobilità (non importa dove sei e con chi sei) determinerà sempre di più il valore della merce. Il valore di un IPAD è la sua componente fisica, o il design, il software ecc.? Nell’auto è diverso?
Sicuramente non saranno gli “alienati” i protagonisti di questa nuova fase.
Naturalmente i concetti di spazio, luogo, attività rigidamente collegati tra di loro avranno scarso significato. Ma, a guardare bene, già oggi è così.
Non attribuisco alcun significato salvifico alle tecnologie (lascio queste sottili disquisizioni a Fassina e alla CGIL); penso invece che le tecnologie della conoscenza (Information and Communication Technology) offrano alle persone maggiori possibilità di creare e condividere conoscenza e di poter disporre meglio della propria vita.
La riflessione dovrebbe quindi indirizzarsi su questa strada, evitando di attardarsi nella “digitalizzazione del ‘900 e del fordismo”.
Un consiglio (se mi è permesso) a personalità come Morozov. Evitiamo di produrre sonore “puttanate” (aforisma) tipo: “Pare, ad esempio, che i telelavoratori abbiano meno probabilità di essere sposati”. Per alcuni potrebbe costituire un incentivo al telelavoro.