Proposte, consigli, suggestioni.
PREMESSA: UN PÒ DI CULTURA GENERALE
Nel 1999 un gruppo di visionari (in primis David Weinberger) ha pubblicato il Cluetrain Manifesto.
Quell’affermazione secondo la quale “I mercati sono conversazioni” ha cambiato il nostro approccio a Internet.
Qualche settimana fa Weinberger (e soci) é ritornato sulla scena e ha scritto “The new clues”.
La tesi numero 1 é già un programma “Internet non è fatto di cavi di rame, fibre di vetro, onde radio e nemmeno di condotti.”. A queste affermazioni ne sono seguite altre tra le quali “In Rete, siamo noi il “medium”. Siamo noi a trasportare i messaggi. Lo facciamo quando postiamo o retwittiamo, quando inviamo un link tramite email o lo postiamo su un social network.”.
Insomma questa é l’essenza della smart city, almeno per come la ho raccontata in questi anni.
LA CRISI DELLE SMART CITIES IN “SALSA ITALIANA”
In queste settimane alcuni osservatori si stanno accorgendo che quel filone di attività denominato “smart cities” sembra sia scomparso dall’agenda del nostro Paese.
La verità é che il filone smart cities la ha fatto da protagonista in Italia fino al momento in cui i bandi europei o del MIUR tenevano desta l’attenzione delle pubbliche amministrazioni locali.
Insomma, la smart city é stata concepita dalle Amministrazioni Locali come un mezzo per garantire il finanziamento di alcune attività innovative nelle aree urbane.
Questa impostazione, debole culturalmente, ha fatto si che l’idea smart fosse assimilata a un qualche prodotto/progetto. Le politiche smart, ad esempio, non sono state associate all’evoluzione dei processi sociali e all’innovazione delle forme organizzative sia pubbliche che private.
Il proponente dei progetti smart é stato quasi sempre un produttore di servizi e prodotti I.T., o una impresa interessata allo sviluppo delle politiche ambientali; la città -impersonale- si é ridotta così ad essere uno scenario nel quale sperimentare soluzioni tecnologiche più o meno all’avanguardia.
In tutti i casi vorrei sottolineare come i soggetti proponenti (per parte industriale) siano stati in larga parte rappresentati da aziende locali, in un mercato sempre di più monopolizzato da player globali.
Attorno a questi limiti economici e culturali si é arenato tutto.
Da qui, dal superamento di questi limiti, bisogna ripartire.
Il mondo dei device e delle infrastrutture I.T. ha continuato, inevitabilmente, nel suo sviluppo.
Di fronte a una cultura politica e amministrativa deboli, la smart city continua ad identificarsi con le tecnologie emergenti.
C’é stato un momento in cui la smart city era la fibra ottica e il wifi, oggi la smart city é Internet of Everything (o Thing), cloud computing, open data versus big data, dashboard del Sindaco ecc.
Continua a ritornate l’antico errore. Non é un caso che il mio messaggio iniziale sia il richiamo al New Clues: l’essere umano é al centro di tutto e il centro di tutto.
Se vogliamo che una città (un’area urbana) intraprenda politiche smart, il cittadino, il city user (il genere umano) deve tornare ad assumere la centralità, esprimendo e risolvendo -in modo smart- bisogni, pulsioni, esigenze.
Ciò non vuole dire che lo sviluppo dell’Information Technology in tutte le sue diverse declinazioni, debba uscire dal nostro raggio d’azione.
La finalità della nostra attività sarà quella dell’utilizzo consapevole dell’Information technology e una forte attenzione ai nuovi filoni di innovazione I.T..
Ecco allora qualche consiglio rivolto soprattutto alle Pubbliche Amministrazioni Locali.
1- realizzate preliminarmente le agende digitali locali. Concepitele come una straordinaria opportunità per coinvolgere i cittadini e sviluppare pratiche concertative; utilizzate strumenti di gamification per coprogettare il futuro della vostra area urbana. Questi strumenti potranno aiutarvi ogni oltre aspettativa.
Una Pubblica Amministrazione locale deve avere una propria vision e un piano per lo sviluppo della cultura e delle infrastrutture digitali.
2- una Pubblica Amministrazione locale deve porsi come obiettivo lo sviluppo dell’alfabetizzazione digitale di tutti i cittadini e contemporaneamente il cambiamento in modo open delle propria struttura organizzativa.
3- per realizzare questi obiettivi le Pubbliche Amministrazioni (tutte) devono partire “dall’aprire” sé stesse, a partire dalla ridefinizione della loro presenza sul web. Se vorranno che, parallelamente, gli stakeholders economici e i cittadini a loro volta assumano comportamenti sociali, le Pubbliche Amministrazioni dovranno “socializzare” sé stesse.
La cultura dell’egovernment e delle reti civiche, ancora predominante in troppi Comuni italiani, non é più sufficiente.
4- nello sviluppo delle politiche degli open data bisogna porsi come obiettivo l’acquisizione dei dati che provengono dai gestori delle public utilities.
I sensori possono raccontare la nostra città offrendoci angolature mai viste. Questo racconto può aiutarci a sviluppare atteggiamenti maggiormente consapevoli da parte dei cittadini e delle Pubbliche Amministrazioni.
Ricordatevi però che i produttori di gadget tecnologici, a partire da quelli che riguardano la gestione delle nostre case (energia, acqua ecc.), o della salute (il filone che definiamo smart clothing) li stanno progettando come ecosistemi di oggetti e di dati chiusi. La prossima sfida nel mondo di Internet of Things sarà tra sistemi chiusi e proprietari.
Le aree urbane potrebbero essere l’inconsapevole campo di battaglia sul quale si combatterà questa guerra.
5- Ponetevi in modo non subalterno nei confronti dei fornitori di servizi e di prodotti I.T..
Datevi (voi amministrazioni) delle priorità, condividete con gli attori della vita cittadina queste priorità. Definite obiettivi comuni.
A questo punto indirizzate voi, secondo le vostre esigenze, i fornitori di Information Technology.
In questo modo, rovesciando i parametri conosciuti, riportando al centro della vita delle città e delle politiche smart i cittadini, alfabetizzandoli digitalmente, potremo riprendere il “cammino smart”, garantendo l’organicità e la continuità nel tempo che in questi anni é mancata.
p.s. Non ritengo che nessun neo centralismo informatico, soprattutto se pubblico, risolverà il gap che riguarda soprattutto lo sviluppo delle aree urbane.
Le visioni tecnocratiche non hanno mai prodotto risultati apprezzabili.