Il nuovo CAD (DL 13/12/2017 n. 217) all’art. 45 comma a) recita “Le pubbliche amministrazioni, nell’ambito delle proprie funzioni istituzionali, procedono all’analisi dei propri dati anche in combinazione con quelli detenuti da altri soggetti di cui all’articolo 2, comma 2…”
Più avanti lo stesso articolo prevede di “favorire la conoscenza e l’utilizzo del patrimonio informativo detenuto, per finalita’ istituzionali, dai soggetti di cui all’articolo 2, comma 2…“.
Come si vede, finalmente si esce dalla logica dell’open data, si entra nella fase storica in cui il dato, opportunamente trattato e gestito dalle P.A. “anche per fini commerciale” può diventare una fonte di valore economico e sociale.
Ovviamente ciò implica il darsi una strategia e ragionare “guardare avanti”.
Ho pubblicato sulla rivista EUROPE YOUTH UTOPIA (n. 2 inverno 2018) l’articolo “Smart city. Digitale: dal valore d’uso al valore del dato. Un nuovo modo di finanziare il welfare locale”.
Lo pubblico integralmente anche sul blog. Spero serva ad aprire un dibattito.
“Il nuovo presupposto culturale sul quale si deve fondare una smart city è che la smartness (l’intelligenza nel modo di vivere e di organizzare i servizi urbani) non si misura sulla quantità dei device e delle infrastrutture digitali presenti in un ambiente urbano.
All’opposto, la smartness è data dalla qualità delle interazioni che si sviluppano tra l’essere umano e i device digitali (o grazie ai device digitali).
Sembra facile, ma questo concetto va spiegato alle persone, in primis a coloro che utilizzano i device digitali.
Purtroppo nella “vulgata comune” il concetto di smart city è associato alle metropoli o a una visione quantitativa delle infrastrutture e delle piattaforme digitali.
Questo pezzo è stato scritto pensando alle “persone normali” che incrociamo nella vita di ogni giorno e che utilizzano un qualsiasi device.
Ma, quello della proprietà e della valorizzazione dei dati è il tema che attraverserà la nostra vita nei prossimi anni.
CHI POSSIEDE I DATI?????
Ogni device digitale svolge una duplice funzione.
Un device ha una funzione d’uso intrinseca ma, contemporaneamente, ne un’altra che quasi sempre ci sfugge. Ogni attività che si svolge grazie ad una piattaforma o a una infrastruttura digitale genera dei dati.
Quasi sempre ci concentriamo sulla funzione di uso di un device, non ci soffermiamo a riflettere sui dati che generiamo inconsapevolmente.
A chi appartengono i dati che sono stati generati dalle nostre attività sul WEB?
Rispondere a questo interrogativo non è semplice. Ogni minuto vengono generate infinite quantità di dati “grezzi”. Ogni attività che un essere umano svolge, intermediata da un device digitale, genera dei dati grezzi.
Banalmente, quando telefoniamo generiamo dati, quando inviamo una mail, quando postiamo una fotografia su un social, quando interagiamo con una piattaforma domotica generiamo dati. Ogni sensore che sta nella nostra auto o nella nostra abitazione, purché connesso grazie al WEB, genera dei dati, e così via.
L’esplosione della connettività in 5G aumenterà in modo esponenziale la porudzione e lo scambio di dati.
Di questi processi, generalmente, siamo inconsapevoli. Non sono visibili.
Ci stupiamo –almeno la prima volta- perché abbiamo acceso la luce nel soggiorno di casa nostra grazie allo smart phone, ma non ci è chiaro che abbiamo, nello stesso momento, codificato attraverso un dato un aspetto della nostra vita.
Quasi sicuramente perché i dati non si toccano con le mani, non sono visibili.
Questo concetto è molto importante. Deve diventare coscienza di massa.
Da tempo vengono pubblicate le infografiche “Cosa succede ogni minuto sul web”.
Queste infografiche rappresenta le infinite “funzioni d’uso”. Quanti dati/conoscenza viene prodotta ogni minuto sul web???
Non ci è dato saperlo.
Come capirete la pervasività del WEB in ogni ambito fa si che nell’ambiente urbano, tutte le nostre attività più comuni siano fonti di generazione di dati.
Possiamo dire che oggi, la nuvola dei dati rappresenta la complessità delle infinite attività umane.
Ma questi dati, presi singolarmente, sono “al grezzo”, sono difficilmente riutilizzabili. In tutti i casi essi sono il frutto di attività che vengono intermediate da piattaforme diverse. Ogni attività, sotto forma di dati, è incomunicante con le altre. Nel mondo materiale le nostre relazioni sono chiare e generano sempre qualche cambiamento seppure impercettibile.
Nel mondo digitale le connessioni vanno individuate, volute, create.
Facciamo un esempio banale, molto comune ai cultori della visione quantitativa della smart city.
Un sensore genera dei dati che documentano le performance di un lampione su una strada; per molti motivi quei dati che documentano la vostra attivita’ di runner su quella stessa strada (wearable technologies, conta passi su device mobile ecc.)non possono connettersi con quelli del lampione.
Eppure, sia il lampione che le nostre scarpette da runner sono dotate di sensori connessi dal WEB.
I dati vengono generati allo stato grezzo, sono conservati in luoghi diversi (silos verticali), non sono connessii. Quanti runner sono transitati in quella strada mentre il lampione era acceso? Ha un senso impiegare energia elettrica in una strada dove non transita mai nessuno? Il dato in sé non ha valore.
I dati che, opportunamente, vengono trattati generano informazioni, in questo modo assumono un valore.
A questo punto dobbiamo porci almeno due interrogativi.
Chi possiede i dati?
In che cosa consiste il valore di una serie di dati?
Rispondiamo innanzitutto al secondo interrogativo. I dati opportunamente assemblati –connessi- e trattati ci consentono di operare in modo informato.
Torniamo all’esempio del lampione e del runner. Se in una determinata fascia oraria, ad esempio nelle ore notturne, in una strada non passa nessuno, non avrà senso investire dei soldi per mantenere in attività quel punto luce. Un sensore rileverà la presenza di persone (il nostro runner). Si accenderà e poi si spegnerà.
Ma, oltre alla funzionalità in sé, quel sentore ci consentirà di generare serie di dati che potranno raccontarci la “vita” di quella strada.
Quei dati –meshati (mashup) con quelli cartografici e di rilevazione di una attività- hanno un valore perché pongono le basi affinché il gestore del servizio goda di un risparmio economico e la comunità attui politiche improntate alla sostenibilità ambientale.
Insomma, ogni serie di dati, opportunamente trattati, ci consentirà di sviluppare scelte di vita o politiche amministrative informate dalla capacità predittiva.
La predittività è un obiettivo che, grazie alla capacità di trattare i dati, cambierà il nostro modo di gestire gli ambienti urbani.
La predittività potrà inoltre aiutarci a curare il nostro corpo, e così via.
Ancora, di chi sono i dati?
I dati nel mondo di oggi sono valorizzati da poche aziende, se vogliamo definirle tali. Esse sono generalmente definite come gli OVER THE TOP (OTT). Sono Google, Amazon Facebook ecc.
Vi ricordate l’infografica cosa succede in un minuto sul web? I gestori di quelle piattaforme (Facebook, Amazon, WhatsApp, GMAIL, ecc.)possiedono, trattano, valorizzano i dati prodotti da tutti noi.
Questi soggetti forniscono le piattaforme (il motore di ricerca di Google è una piattaforma) che raccolgono i dati, li trattano e, quota parte, li valorizzano ricavandone un utile.
Ma, mentre i dati vengono prodotti da tutti noi, all’opposto, vengono valorizzati da un soggetto terzo e vengono venduti ad una miriade di altri soggetti. Questi soggetti ci offrono, a loro volta, servizi personalizzati traendone il loro profitto.
In sintesi, noi produciamo i dati, Google li tratta e li vende ad una compagnia di assicurazione (è un esempio) che ce li rivende sotto forma di un servizio personalizzato.
Questo scenario, evidentemente svantaggioso per il produttore inconsapevole dei dati, verrà quasi sicuramente scardinato dalla diffusione di Internet of Things. Nel 2020 circa 200 miliardi di sentori saranno presenti in ogni ambito di un tessuto urbano e, come si capirà produrranno infinite quantità di dati.
Uomini che parleranno con le macchine, le macchine che comunicheranno tra di loro. Come dicevo più sopra il 5G sarà il detonatore di questi fenomeni.
Sicuramente larghissima parte di questi dati proverranno dalle attività pubbliche o di interesse pubblico.
I sensori posti nelle tubature degli impianti idrici, o su un autobus di una azienda pubblica, genereranno informazioni pubbliche, o di interesse per la collettività.
Queste informazioni, come si capisce bene, sia per motivi etici, che economici, devono diventare di proprietà della comunità che li ha generati.
Spetterà poi alla governance di quella comunità individuare (e retribuire) i soggetti imprenditoriali che conserveranno i dati, che li tratteranno, che ne trarranno il valore / funzione richiesto da quella comunità.
Le aziende saranno retribuite per il servizio reso alla collettività, ma i dati saranno di proprietà dell’Istituzione Pubblica.
Il mondo in un prossimo e vicino futuro dovrà “socializzare” il valore dei dati pubblici o di interesse pubblico.
La predittività sarà uno strumento fondamentale per orientare il governo degli ambienti urbani; il miglior uso delle risorse pubbliche frutto di un governo efficiente consentiranno inoltre di ricavare le risorse per finanziare il welfare urbano o per abbattere i costi di gestione.
Lo scenario che potrebbe aprirsi è quello di un modello che vede le istituzioni pubbliche e i soggetti privati che realizzano nuovi modi di vivere l’ambiente urbano grazie alla valorizzazione “sociale” dei dati.
La sfida è aperta.