Ho letto con molta attenzione il Rapporto “Osservatorio sulle politiche per il digitale”.
Ne apprezzo l’intendimento. Ce ne fossero altri in Italia che si dedicano a questa attività esprimendo livelli di eccellenza.
Proprio seguendo questo spirito, vorrei evidenziare le mie osservazioni per aiutare gli estensori a precisare meglio alcuni aspetti della ricerca.
D’altronde gli stessi estensori ne parlano come di un lavoro in progress.
Il vantaggio di chi vi scrive è quello di aver dedicato una parte importante della propria vita anche all’attività politica (Parlamentare, ViceSindaco di una grande Città ecc.ecc.).
Per mia fortuna da un pò di tempo, senza rimpianti, faccio altro ma, conosco ancora i miei polli.
Il limite della ricerca è quello , nella individuazione degli indicatori, di assecondare l’arretratezza culturale di TUTTI i soggetti politici (chi più chi meno) nel concepire l’Agenda Digitale.
La digitalizzazione del nostro Paese, non è la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione.
Nell’uso delle tecnologie I.T. l’impresa Italiana (98% del tessuto industriale è sotto i 10 dipendenti) è arretrata quanto la Pubblica Amministrazione, forse di più.
È il Paese nel suo complesso ad essere “digitalmente” arretrato.
Perdiamo competitività perché il mondo è Internet oriented, mentre noi pensiamo di ritornare alla lira e alle svalutazioni competitive, o pensiamo all’industria del ‘900 e all’occupazione stabile e garantita per sempre.
Continuiamo a pensare al digitale con la cultura del secolo scorso. Al massimo “digitalizziamo l’esistente”.
Ho criticato la Legge “Agenda Digitale” approvata dal Parlamento perché è una sorta di autoriforma della Pubblica Amministrazione. Così non si applicherà mai e non darà mai frutti.
L’Osservatorio non propone indicatori sulle politiche proposte nei programmi elettorali per far si che la società italiana (i distretti produttivi italiani, il commercio, l’istruzione, ecc.) si innovi (Internet oriented).
Prevengo l’obiezione: siccome i Partiti non lo propongono (nessuno, siamo tutti ai distretti del ‘900 e a pensare di salvare l’industria di base) non consideriamo questo aspetto. Francamente no io giudico la cultura “digitale” di un Partito in base alla sua capacità di far pervadere tutte le sue proposte dalle Tecnologie della conoscenza.
L’Osservatorio potrebbe essere ancor di più utile se evidenziasse questi limiti. L?osservatorio non può essere neutrale.
Quindi vi propongo di adottare un indicatore sul grado di “vision” del destino del Paese grazie all’IT. Società, produzione, cultura, Pubblica Amministrazione ecc..
Io voto chi mi propone una visione del futuro dove Internet è preponderante in quanto “Tecnologia della conoscenza”. La PEC mi interessa scarsamente.
La seconda osservazione attiene la descrizione di alcuni indicatori.
Smart city non è solo la qualità della vita. Ormai, associato al termine intelligenza, la definizione di città Smart riguarda la capacità/volontà di condividere in modo virtualizzato conoscenza per generare valore economico e sociale in una comunità urbana.
Il termine “Alfabetizzazione digitale” andrebbe associato a “digital divide”. Un Paese non può “limitarsi” alla infrastrutturazione (cosa in sé non disdicevole-ironia); un Paese promuove l’uso consapevole del web, sollecita la cultura wiki, l’uso del crowdsourcing. Pensate agli immensi benefici non solo sociali, ma anche economici. conseguenti all’adozione delle culture della condivisione. Su questo terreno le PMI italiane soffrono di un divide culturale infinito, per questo muoiono.
I benefici economici e sociali delle piattaforme di cloud computing riguardano la società intera. È la virtualizzazione della conoscenza. Ciò vale anche per gli open data che non possiamo ridurre al “dato pubblico” e alla trasparenza.
Pensare all’open data come “all’alleanza per la trasparenza” mi fa sorridere. È una forma di “giustizialismo digitale”.
Le startup non vanno associate solo al digitale (anche se trasversale a tutto). È il limite e l’errore di Agenda Digitale, non ripetiamolo ancora.
Infine i programmi dei singoli aspiranti parlamentari non vanno associati a quelli delle formazioni politiche.
Antonio Palmieri è bravissimo, ma non è il PDL. Stefano Quintarelli candidato con Monti è molto più competente e bravo, ma non è Monti.
Forse è più rilevate, in questo triste deserto rappresentato dalla cultura politica italiana in materia di Internet e reti, monitorare la qualità, competenza (sulla base delle proposte) fatte da singoli candidati “influencers”.
Gente come me non vota più i Partiti, vota persone e competenze.
Così come proposta la griglia dell’Osservatorio non mi convince. I singoli non rappresentano la volontà di un Partito.
Naturalmente, come ben sapete sono a vostra disposizione.
4 risposte su “Programmi elettorali, #agendadigitale, Osservatori”
ottimo post, Michele, davvero ottimo. Vediamo un po’:
gli indicatori
tu dici che assecondiamo l’arretratezza culturale. È vero. E lo facciamo apposta. Per due motivi.
Primo, abbiamo scelto di lasciarci dire dai programmi quali sono le parole chiave. Certo, non sono le parole chiave che avremmo voluto trovare. E quando le abbiamo trovate, non hanno le interpretazioni che gli diamo noi. E questo è il problema. L’Osservatorio serve proprio per scoprire quali sono i problemi.
Secondo. Lo scopo dell’Osservatorio è scoprire quali sono i problemi percepiti e le soluzioni proposte, non di vedere chi è più o meno d’accordo con noi. Questo passo di analisi viene necessariamente prima della critica. Senza consapevolezza di un problema, il problema non esiste. E far crescere la consapevolezza di un problema è cosa radicalmente diversa dal confrontarsi sulle soluzioni possibili. Un esempio: se uno è alcolista, ma non pensa di esserlo, è inutile che cerco di convincerlo che l’astensione totale è meglio della limitazione.
Che la digitalizzazione del Paese non sia la digitalizzazione della PA sono assolutamente d’accordo, e l’Osservatorio non dice che le due cose coincidano. Anzi, diciamo espressamente riguardo agli incentivi che tutti i partiti propongono:
… lo scarso livello tecnologico delle PMI è strutturale, e non contingente. In altre parole, non è il budget ma la cultura aziendale, il bassissimo livello di alfabetizzazione informatica e l’assenza di infrastrutture a frenare la digitalizzazione delle imprese italiane
Nessuno dei partecipanti all’Osservatorio crede che lo stato desolante del Paese sia da attribuire solo alla classe politica, e che il mondo imprenditoriale non abbia la sua metà di responsabilità.
I tuoi commenti sui singoli indicatori (open data, digital divide, startup) mi trovano d’accordo, ma vale quanto sopra, non sono i “nostri” indicatori. Non abbiamo una checklist per dare punteggi. Vogliamo prendere “in parola” i partiti, e vedere se quelle parole hanno un senso o meno. A me personalmente fa ridere che se fai una “startup innovativa” (ma cos’è, poi? Boh.) sei al centro dell’attenzione politica e degli incentivi e se vuoi aprire una “azienda normale” arrangiati. È questo che intendiamo quando parliamo del digitale come tattica:
il digitale […] considerato una tematica
strategica, ma tattica: proposte, spesso slegate fra di loro, relative a parole chiave attualmente in voga
Ultimo punto: tu proponi di non associare i programmi dei singoli alle piattaforme dei partiti.
Anche qui sarei d’accordo, ma noi abbiamo analizzato ciò che ci indicavano le segreterie, non i singoli.
Che il programma di Palmieri venga indicato dal PDL mi sembra significativo. Che la lista Monti non fornisca una lista di indicazioni di Quintarelli mi sembra altrettanto significativo. Poi possiamo parlare ad infinitum del fatot che la proposta di legge di Palmieri non sia passata quando il PDL era al governo. Ma quello non è più Osservatorio.
Poi, è vero che si votano le persone e non i partiti. Ma è anche vero che sono gli schieramenti, e non i singoli a decidere le attività del Parlamento.
Un parlamentare non deve solo essere capace come persona: deve anche riuscire a catalizzare e dirigere le energie del suo partito (e di altri) in una certa direzione.
Sulla possibilità di monitorare singoli “influencers” e di assegnare punteggi, ci stiamo lavorando. Non è facile farlo senza esporsi alle inutili polemiche di partigianeria.
Detto questo, l’Osservatorio non è inciso nella pietra, molte cose cambieranno nelle prossime 4 settimane, e spero che vorrai ancora aiutarci a essere più chiari e più utili.
Buon weekend!
Grazie Walter ovvio che la tua ottima risposta merita osservazioni. Ma, oggi cucino ….. ci sentiamo domani. Forse posto ma, la politica come usa il digitale???? dalla teoria alla pratica…. cosa dici????
E’ giusto lasciare la vision alla politica, ma di troppa vision si muore.
Lei scrive giustamente: “un Paese promuove l’uso consapevole del web, sollecita la cultura wiki, l’uso del crowdsourcing”. Dal suo “osservatorio privilegiato”, quali interventi concreti e immediatamente “cantierabili” dovrebbero essere promossi a livello nazionale / regionale per favorire un cambiamento culturale nelle PMI?
Purtroppo questo Paese non ha vision. Non lo ha la politica,non la hanno le imprese. Magari morissimo di vision, in realtà staimo morendo di quotidianità.Formazione degli imprenditori sulle filosofie e i vantaggi della condivisione. Fargli sperimentare soluzioni di cloud computing, insegnarli l’uso dell’ecommerce. Incentivi fiscali a chi investe in IT e ai centri di eccellenza (non le imprese informatiche) ai quali appoggiarsi….potrei continuare in eterno. Poi varia da Regione a Regione, ma questo è ovvio.