Di fronte al riproporsi di classifiche e di graduatorie sulla smartness o sulla qualità della vita nelle aree urbane (v. Italia Oggi), ho ripreso a riflettere sul destino delle aree urbane e sulla cittadinanza.
Una lezione che ho tenuto qualche giorno fa all’Università di Salerno e, soprattutto, le mie nuove attività professionali per l’Ordine degli Ingegneri di Brescia e per Milano 4 You (ve ne parlerò nei prossimi giorni), mi hanno consentito di ragionare in modo maggiormente strutturato del destino delle aree urbane.
Come ben sapete non ho mai apprezzato particolarmente le graduatorie fondate prevalentemente sui criteri quantitativi e su un uso intensivo delle tecnologie digitali.
Da sempre i parametri indicati, già da qualche anno, dal Politecnico di Vienna hanno ispirato il mio pensiero. Tuttavia, presi a sé stante, in modo verticale, anche questi parametri dicono molto poco.
Ciò che oggi mi interessa maggiormente é l’indagine sulle interazioni tra i diversi fattori di smartness.
Ad esempio, é molto difficile poter ragionare di qualità ambientale separatamente dalle politiche per promuovere una mobilità sostenibile. Egualmente, é difficile discutere di inclusione, disgiuntamente dalle politiche che promuovono il governo aperto.
Il digitale lo considero, da sempre, un formidabile strumento di apertura e di conoscenza. Naturalmente a condizione che le piattaforme digitali siano utilizzate dai cittadini in modo consapevole e con grande spirito civico.
Ho provato quindi a definire la città smart come un luogo di dialoghi e di valorizzazione di dati.
Se questa affermazione fosse vera e condivisa, la smartness cittadina andrebbe misurata sulla capacità di mettere a disposizione delle attività piattaforme e capacità di gestire e di valorizzare i dati. Questa impostazione culturale peraltro darebbe maggiore vigore e dignità a coloro che giustamente lavorano attorno al tema degli open data.
Naturalmente questi obiettivi molto chiari e relativamente semplici potranno essere raggiunti a condizione che i diversi attori che operano nello scenario cittadino siano consapevoli e promuovano politiche finalizzate a valorizzare i dati e le attività umane consapevoli.
Ovviamente mi riferisco alle Pubbliche Amministrazioni, ma anche agli imprenditori (pensiamo a come l’uso dei dati e dei sensori possa cambiare la qualità del costruito, delle manutenzioni, dell’abitare) e, ovviamente, i cittadini. Quei cittadini che, oggi, di fronte alle piattaforme digitali a volte le utilizzano in modo incivile e barbaro.
La smartness di fonda quindi su un binomio inscindibile: cittadinanza digitale, civismo digitale, possibilità di utilizzare le piattaforme web per vivere meglio, per sviluppare capacità predittive, per creare nuovo valore economico e sociale nella società.
Questa mia affermazione é rafforzata dall’emergere con sempre maggiore forza di un uso deresponsabilizzato delle persone nell’utilizzo dei social network. Il livello di civiltà di una città (inclusione-qualità della vita) non può essere affidato agli algoritmi dei gestori di Facebook o di Twitter. (v. articolo).
Un nuovo civismo, la consapevolezza, nell’epoca digitale andrà sempre di più affidati alla promozione di una nuova stagione dell’alfabetizzazione digitale.
Sto maturando una mia particolare indagine sulla crisi del “positivismo digitale” (quello predicato in modo un pò cialtrone dai nostri guru digitali), messo in crisi dalle “tribù confliggenti”. Di questo vi parlerò in un prossimo articolo.
Ma, di quali dati parliamo e di quali piattaforme?
In un ambiente urbano convivono tre fonti di dati.
1) Le “smart grid” che sono considerate come le piattaforme in grado di veicolare e di strutturare i dati che provengono dalla gestione delle principali “public utilities”.
2) La seconda fonte di dati é rappresentata da tutto ciò che viene prodotto dalle attività della Pubblica Amministrazione.
In questo caso per Pubblica Amministrazione intendo, oltre agli Enti Locali, anche la Sanità, la Cultura, la protezione dell’ambiente ecc..
3) La terza fonte di dati è generata, in modo del tutto inconsapevole, dalle attività delle persone.
In questo caso il cittadino produce dati, informazioni e conoscenze che vengono raccolti, trattati, strutturati, utilizzati attraverso le piattaforme dei fornitori di un servizio.
Si tratta delle nostre attività di social networking, delle attività generate dalle wearable technologies, dalla domotica.
Come capirete se le fonti dei dati sono molteplici, la capacità/possibilità per utilizzarle può essere complessa, sia a causa dell’ostracismo dei gestori delle public utilities, sia per l’ottusità di molte pubbliche amministrazioni, che per una legittima rivendicazione di privacy da parte dei cittadini.
Che fare allora?
Anche grazie alla nuova legislazione, sarà più semplice rivendicare la disponibilità dei dati da parte delle Pubbliche Amministrazioni e da parte dei gestori delle public utilities.
Naturalmente si tratterà di dati grezzi, non ordinati. Sarà compito del mondo dell’imprenditoria, della ricerca, degli hacker civici, aiutare la collettività nell’utilizzo dei dati.
Andrà inoltre regolamentato una sorta di scambio tra privacy e valore. Ad esempio, se tu inquilino mi consenti di utilizzare i dati che provengono dall’utilizzo delle fonti energetiche di casa, io impresa mi impegno ad abbattere i costi della bollettazione. D’altronde dei vantaggi conseguenti all’uso della predittività non potrà fruirne solo il gestore delle public utilities.
Smart sarà quindi la capacità di gestire i dati, di mescolare i dati, di rendere pubblici i dati, di far crescere la consapevolezza dei cittadini.
L’ambiente urbano sarà sempre di meno un assieme di luoghi legati alle funzioni, l’ambiente urbano sarà sempre di più cementato dalle informazioni, dai dati e dal sapere.
La mia fortuna é che queste affermazioni le sto traducendo in pratica. Ma, questa é un’altra storia della quale vi parlerò molto presto.
2 risposte su “Cittadini, dati, piattaforme. Il futuro delle aree urbane.”
Ottimo articolo, interessante tema quello delle piattaforme del futuro delle aree urbane.
grazie