QUESTO ARTICOLO È DEDICATO AL MIO AMICO ON. PAOLO COPPOLA E ALL’OTTIMO LAVORO FATTO SULLA DIGITALIZZAZIONE DELLA P.A..
In un articolo pubblicato precedentemente “8 consigli ai Sindaci che vogliono utilizzare i dati” avevo evidenziato gli ostacoli e poi anche indicato le opportunità, che una Amministrazione Pubblica (o un gestore di public utilities) ha se decide di affrontare in modo “non ideologico” il grande tema strategico dell’utilizzo dei dati per finalità economiche e sociali.
Intendo ora avanzare alcune considerazioni e proposte rivolte ai cittadini (e non solo) che intendano utilizzare i dati o sollecitare le Pubbliche Amministrazioni ad utilizzare i dati, esercitando così il loro diritto ad una maggiore trasparenza.
Quando utilizzo il termine “cittadino” intendo la persona comune che si interfaccia in modo continuo e consapevole con una Pubblica Amministrazione.
Le persone comuni non sono gli hacker civici, non sono i digital champion, non sono gli evangelist digitali (come il sottoscritto), non sono i “guri digitali” che filosofeggiano da Facebook scambiandolo per il mondo intero.
Il cittadino normale è il padre e la madre che vogliono iscrivere i loro figli ad una scuola comunale utilizzando le piattaforme digitali, sono gli anziani come mia suocera che vuole monitorare l’evoluzione dell’ammontare della sua pensione sul portale dell’INPS, sono il gruppo civico che vuole conoscere il livello di inquinamento dell’aria nel loro quartiere, sono i sindacati che vorrebbero conoscere correttamente i tempi di attesa di un pronto soccorso, sono il pensionato che vorrebbe comprendere esattamente l’ammontare della bolletta dell’ENEL ecc.ecc.
I cittadini sono assieme, le persone con competenze che gli consentono di utilizzare le piattaforme digitali, di richiedere SPID, di utilizzare Pago PA. I cittadini sono persone che non hanno competenze digitali e, magari, non sono interessate ad acquisirle.
È impossibile dare un significato univoco al termine cittadino.
QUELLE AI QUALI MI RIVOLGO PER SOLLECITARLE A FRUIRE DEI LORO DIRITTI VERSO LA P.A. SONO QUINDI LE “PERSONE COMUNI”.
La legge (DLGS 33/2013 art. 1) ha stabilito che “La trasparenza e’ intesa come accessibilita’ totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche. “
A coronamento il legislatore ha inoltre decretato, all’art 5, che:“Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni…”.
La trasparenza va quindi intesa come accessibilità totale poiché chiunque può esercitare il diritto all’accesso ai dati e ai documenti. Questi diritti possono essere esercitati da parte dei cittadini per svolgere attività di controllo sull’attività delle P.A. e, soprattutto, per favorire la partecipazione alla vita democratica. Con qualche forma di aiuto, ecco il bisogno degli hacker civici, i cittadini possono anche utilizzare i dati che, attraverso utilities, li aiutino a conoscere meglio la città, o ad esercitare i propri diritti in modo consapevole.
Il cittadino, ha quindi di fronte due fattispecie di “diritti” da esercitare:
1) ha il diritto di esercitare le proprie relazioni con una Amministrazione utilizzando le piattaforme digitali (la nuova versione del CAD, peraltro, rafforzerà questo diritto prevedendo, nei prossimi mesi, per ognuno di noi cittadini la possibilità di eleggere un proprio domicilio digitale);
2) ha il diritto di accedere a tutti i dati e ai documenti detenuti da una Pubblica Amministrazione (tutto ciò che attiene alla tematica del FOIA), comprese le imprese che gestiscono le public utilities con le sole limitazioni proprie della tutela della privacy e della proprietà intellettuale, nonché delle funzioni proprie di alcuni organi dello Stato (difesa, pubblica sicurezza ecc.).
VENIAMO AL DUNQUE: PER FARE SI CHE GLI ORGANI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE ACCELERINO IL PROCESSO DI CAMBIAMENTO IN DIREZIONE DELLA TRASPARENZA, DELL’UTILIZZO DELLE PIATTAFORME DIGITALI, DELL’UTILIZZO DEI DATI C’È IL BISOGNO CHE I CITTADINI ESERCITINO I DIRITTI DEI QUALI HO PARLATO PIÙ SOPRA.
La storia, anche quella molto recente, ci racconta come sia molto difficile che la Pubblica Amministrazione, per linee interne, proceda, in modo organico, ad una propria autoriforma.
Così come non vedo una generazione di Sindaci (ovviamente con eccezioni ma, molto minoritarie) che indichi come prioritaria una attività tesa ad incentivare i processi di trasparenza e di digitalizzazione per responsabilizzare i dipendenti ed attivare i cittadini.
Probabilmente, in questo momento, il mondo politico locale non vede nei processi di digitalizzazione un immediato tornaconto elettorale. E questo non è un problema generazionale.
Il mondo politico, con molte ragioni a suo favore, vede realizzarsi il consenso elettorale sul finanziamento alle fiere paesane, invece che sul finanziamento dei processi di digitalizzazione. I quali processi di digitalizzazione non si finanziano con i risparmi né, tantomeno, avvengono a costo zero come sostengono le “anime belle”. Utilizzare wathsapp per segnalare i guasti non esaurisce la complessità dei rapporti con i cittadini, né esaurisce il tema del protagonismo civico.
Inoltre come ho sostenuto più volte i livelli apicali della P.A. (pensate ad es. alla miriade di piccoli comuni), anche a ragione, considerano, come ha scritto brillantemente Sabino Cassese, queste innovazioni come dei meri adempimenti burocratici.
La P.A. cambierà intimamente, a partire da quella locale, perché consapevole della necessità di mutare, perché sollecitata dai cittadini, e non perché costretta dall’ANAC.
Sono sempre più convinto che i cittadini e gli Amministratori più avveduti dovrebbero essere gli elementi chiave del necessario processo di innovazione della Pubblica Amministrazione. La nuova legislazione ha creato importanti e positive condizioni di legittimità giuridica perché si affermino processi di innovazione e di maggiore trasparenza. Ma tutto ciò sarà venato dai limiti evidenti del dirigismo illuministico se non si verrà a realizzare, nel tempo, un circuito virtuoso fatto di:
- una domanda di nuova partecipazione che attinge la propria cultura dall’esercizio della trasparenza (funzione sociale nell’uso del dato e del documento);
- e da una offerta di fonti della conoscenza (dati, documenti, atti in modo strutturato) da parte dei decisori politici e delle strutture della P.A..
Gli stessi processi di digitalizzazione non potranno ridursi alla riproposizione di logiche di sola efficienza, di risparmio dei costi, di presunti benefici per i cittadini. Insomma, senza polemica alcuna, la Pubblica Amministrazione non è Amazon.
Peggio ancora, non si risolverà nulla se si continuerà a raccontare che il digitale è una sorta di ideologia positiva dei tempi moderni, così come proposta dai coraggiosi innovatori (ovviamente sui social network) ai politici riottosi e ai cittadini ignari. Insomma, non c’è la sinistra, non c’è la destra, c’è il digitale.
Ovviamente sollecitare il protagonismo dei cittadini e farli dialogare in modo virtuoso con i decisori politici non sarà assolutamente semplice nell’epoca delle fake news su Facebook. Anzi, una parte del mondo politico osteggia nei fatti i processi di partecipazione consapevole fondata sulla trasparenza, poiché fonda la propria fortuna elettorale sulla protesta, sulla fake news, sulla disinformazione, sulla presunzione di colpevolezza dei pubblici amministratori.
Questi processi, che attengono anche alle scelte del mondo pubblico (come la gestione della sanità) sono stati descritti efficacemente da Roberto Burioni nel suo libro “La congiura dei somari”.
Ma, appunto, una maggiore trasparenza nella vita delle P.A., il poter attingere da parte dei cittadini, alla fonte, i fatti e la conoscenza sui quali fondare la partecipazione consapevole, é un modo per sconfiggere i no vax, i cultori delle scie chimiche e dei complotti, la falsa idea dell’uso della spesa pubblica, la generalizzazione infondata dell’inefficienza dei dipendenti pubblici. In questi tempi contrassegnati –in tutte le democrazie occidentali- dalla crisi dei processi di partecipazione, dalla disarticolazione sociale, dalla diffidenza verso il cambiamento, parlare di partecipazione consapevole potrà sembrare una utopia ma, francamente, perché nutrirci di illusioni?
A più di un anno dall’approvazione della nuova legislazione in materia di digitalizzazione della P.A. (C.A.D.) e di trasparenza (FOIA) i cittadini hanno esercitato in modo molto scarso e deludente i propri nuovi diritti. Perché ciò sta avvenendo??? e cosa bisognerebbe attivare per dare il via ad una stagione di protagonismo responsabile e non distruttivo???
Consapevoli di questa situazione, dobbiamo mettere in campo e condividere tutte le iniziative (best practice) che sperimentano positivamente forme di partecipazione e di cittadinanza consapevole.
A TITOLO PURAMENTE ESEMPLIFICATIVO:
1) i cittadini non conoscono i loro nuovi diritti e, soprattutto, non sanno come esercitarli. La conoscenza del diritto alla trasparenza –che ha assunto un ruolo costituzionale- dovrebbe essere veicolata su iniziativa delle Amministrazioni, soprattutto potrebbe diventare il nuovo terreno di iniziativa e di identità delle organizzazioni sindacali. Le iniziative di alfabetizzazione digitale dovrebbero evolversi verso l’insegnamento e l’apprendimento del “civismo digitale”. Ma, chi è il docente? E, c’è qualcuno che insegna e qualcuno che impara?
2) in particolare le organizzazioni sindacali potrebbero, esse stesse, fondare la loro attività sulla conoscenza che proviene dall’accesso trasparente. Le stesse organizzazioni sindacali potrebbero sviluppare forme di tutela dei cittadini nella richiesta di forme di accesso civico generalizzato o semplice.
3) in questi anni, in molte realtà, si sono sviluppate varie forme di aggregazione dei cittadini. Le associazioni sono nate sul bisogno di condividere qualche cosa, come è il caso delle community street. Le associazioni sono nate sulla esigenza di presentare, spesso in modo protestatario, problemi irrisolti. Il diritto alla trasparenza e all’utilizzo delle piattaforme digitali può aiutare le forme associative a sostenere le proprie rivendicazioni o, ad incentivare forme di sharing.
4) i partiti politici, per lunghi anni, sono stati la forma principale di associazione dei cittadini. Parlare dei partiti oggi è come sparare sulla Croce Rossa. Tuttavia, resto convinto che i partiti (le associazioni politiche) possano diventare ancora una importante forma di aggregazione. L’esercizio della trasparenza potrebbe diventare un valore e una attività fondanti. I partiti non sono le istituzioni. I partiti possono dare vita alle istituzioni. Il digitale non è una forma di marketing, né il digitale è la democrazia. Le piattaforme digitali sono uno strumento per incentivare forme di partecipazione e per esercitare i diritti di cittadinanza.
5) va assolutamente ampliata la platea dei soggetti verso i quali esercitare il diritto alla trasparenza e all’utilizzo delle piattaforme digitali. Personalmente sono maggiormente interessato ai dati “gelosamente custoditi” dai gestori di public utilities (ciclo dell’acqua, dell’energia, smart grid più in generale) che dallo stipendio del dirigente dei Lavori Pubblici. Usciamo dalla logica dello “scandalo” e entriamo nel mondo nuovo: i dati servono a noi cittadini per essere protagonisti veri nel cambiamento degli ambienti urbani (la famosa partecipazione della quale parla il legislatore).
6) i miei amici (magari non tutti) hacker civici –che sono dei normali cittadini- dovrebbero abbandonare l’idea di essere le vestali dell’open qualche cosa. In realtà spesso, parlano a sé stessi e quindi, non contano nulla. Gli hacker civici potrebbero diventare i traghettatori ai mondi nuovi, perché posseggono le competenze rare per tradurre i difficili linguaggi che rendono comprensibili i servizi digitali sia nell’uso che nel significato. Ma, il grande sforzo che dovrebbero fare è quello di uscire dal loro isolamento e dall’autoreferenzialità (alla digital champion per capirci). L’hacker civico è un cittadino molto evoluto, non un professionista dell’open data.
Anticipo già una obiezione. “Caro Michele, più o meno tutto giusto. Ma, questi sono i massimi sistemi!!!”
Quelle evidenziate qui sopra sono delle linee di azione rivolte, da un cittadino quale io sono, a soggetti diversi: singoli cittadini, hacker civici, partiti, sindacati, associazioni.
Se ci pensate bene, però, ognuna di esse può essere a sua volta declinata secondo singole azioni. Il risultato che si dovrebbe ottenere è quello di un attivismo civico fondato sulla conoscenza e sulla capacità di utilizzare il digitale.Naturalmente si tratterà di processi discontinui e contraddittori. Ma, ciò che dovrebbe emergere, è una richiesta sempre più stringente che costringa la P.A. a cambiare.
Per tornare ad un tema a me molto caro (sul quale ho scritto molto) questa è la strada per fare emergere una generazione nuova di smart citizen.
1 risposta su “6 osservazioni. E se i cittadini utilizzassero i dati, gli atti e i documenti?”
Interessanti osservazioni ma che sopravvalutano il potere della politica (amministratori) rispetto alla burocrazia. Il funzionamento dell’organizzazione dovrebbe prescindere dagli amministratori che cambiano periodicamente.
Per esperienza diretta le dico che il vero problema sono i dipendenti pubblici e i sindacati preoccupati solo di mantenere i privilegi e incuranti del servizio ai cittadini. Si pensi poi all’età media dei dipendenti pubblici. Servirebbe un ricambio generazionale