IN RISPOSTA A SIMONE MORI
Attirato dal titolo (Vi spiego le città del futuro) ho letto l’intervista a Simone Mori pubblicata da formiche.net.
Mi si consenta, di fronte a tanto entusiasmo sul destino delle città, di avanzare tre brevi considerazioni.
La prima. Mori fa una affermazione per me assai discutibile: ““Innanzitutto le città del futuro saranno grandi”.
Torna in questa affermazione l’idea, meglio il pregiudizio, secondo il quale la qualità della vita nelle città e del territorio si giochi sulla loro dimensione.
L’evoluzione positiva del territorio e del tessuto urbano, e non solo in Europa, non si gioca tanto sulla loro dimensione, quanto piuttosto sulla diffusione di reti di servizi, non necessariamente fondati sull’uso delle piattaforme digitali, ma sulla valorizzazione di fattori “eminentemente umani”.
La possibilità, capacità, consapevolezza, di produrre modelli di governo urbano inclusivi e partecipativi fa, molto spesso, la differenza nella scelta delle persone e delle imprese di insediarsi in un’area piuttosto che in un’altra.
Le piattaforme digitali ci possono consentire di acquisire dati e di metterli a disposizione di un’ampia platea di soggetti, ma l’apertura delle fonti di dati a un ampio pubblico (condizione di pluralità e di democrazia) è cosa tutta da raggiungere. Come è noto ai più, gli algoritmi che consentono di leggere e di aggregare i data set non sono neutrali, rispondono a precise priorità e volontà.
La natura democratica dell’algoritmo è una cosa “non esistente in natura”.
Strettamente collegata a queste affermazioni la mia seconda considerazione.
Mori afferma: “Noi siamo stati i primi ad avere i contatori elettronici con grandi benefici per i cittadini e l’ambiente.”
In ogni nostra abitazione sono installati i cosiddetti “contatori intelligenti”. I contatori, a loro volta, si basano su reti I.O.T.. (Internet of Things). Fino a qui tutto bene.
Il problema è che i dati generati da quei contatori restano un appannaggio esclusivo dei gestori di energia. Che siano contatori di Elettricità Futura o di ENEL poco cambia.
I dati prodotti da quei contatori generano un beneficio alle aziende. Ciò è assolutamente corretto. Ma, una comunità urbana non delegherà mai esclusivamente alle aziende le scelte in campo energetico supportate dalla capacità di leggere quei dati.
Quei dati hanno un infinito valore pubblico (come peraltro sancito dal Codice dell’Amministrazione Digitale) se verranno condivisi anche con i soggetti istituzionali e con le comunità dei cittadini.
Non ho mai trovato un portale open data di una Società che gestisce public utilities che consenta di mettere a disposizione le infinite quantità di dati prodotti da quei “contatori intelligenti”.
Ricordo che la mappa dell’efficienza energetica di ogni edificio dovrebbe essere a disposizione della comunità e costituire la base conoscitiva per le politiche pubbliche.
Caro Mori, le città possono essere piccole o grandi, ma è la capacità plurale di utilizzare i dati che farà sempre di più la differenza.
Città grandi con tanti sensori generano più dati, ma, ciò non vuole dire nulla. È la qualità dei dataset sviluppati e la capacità di condividere la conoscenza a fare la differenza.
La mia terza considerazione. Mori afferma, e qui sono totalmente d’accordo con lui: “Ormai oggi alcune scelte di mobilità, di consumo energetico e investimento nelle abitazioni sono in mano loro (i cittadini). Come per tutti i cambiamenti però, anche in questo caso ci vogliono consapevolezza, cultura e informazione”.
Questa importante affermazione, che fa la differenza sulla smartness di un tessuto urbano, per realizzarsi deve basarsi su un modello sociale democratico e non su modelli tecnocratici fondati sulla quantità e sulla diffusione quantitativa delle piattaforme digitali.
Sono sempre di più convinto che il limite della diffusione delle piattaforme e dei device digitali stia nel necessario coinvolgimento delle persone.
Le piattaforme digitali hanno diffuso modelli pervasivi ma “stupidi” (Facebook in primis), o modelli basati sulla possibilità senza limiti di consumare (Apple, Amazon), o modelli che si sono appropriati, senza darci un ritorno adeguato, dei dati prodotti dalla nostra attività (Google), o modelli produttivi che stanno espellendo quote importanti di forza lavoro.
In ognuno di questi modelli ci sono aspetti positivi per il genere umano ma, la sostanza, sta nella capacità di condividere la conoscenza.
Più apprendiamo grazie al digitale, più “consumeremo” digitale
Poiché il successo del digitale si basa sul coinvolgimento delle persone (produttori inconsapevoli di dati), sarà necessario ragionare sui modi affinché consapevolmente anche i cittadini possano fruire tangibilmente della ricchezza e dei vantaggi generati dall’uso delle diverse piattaforme digitali.
Mi viene sempre in mente la celebre scena finale di Blade Runner nella quale un essere “non umano” afferma “Ho visto cose ….”.
Non abbiamo riflettuto a sufficienza che quelle cose “che voi umani non potreste immaginarvi” sono la conoscenza non condivisa.
Ciò che non è condiviso nel mondo digitale ha scarso valore.
Ecco perché la città smart è solo quella governata da un modello democratico di condivisione della conoscenza e del sapere.