Qualche giorno fa ho postato su Facebook una frase: “Perché l’intelligenza italiana non fa impresa?”.
La sollecitazione veniva da Antonio Cianci dell’Agenzia per l’Innovazione, in occasione della sottoscrizione del protocollo d’Intesa con l’Associazione dei Parchi Scientifici.
Antonio, in un bell’intervento, sottolineava le carenze del nostro Paese che impediscono alle imprese di crescere e ai giovani di dare vita a nuove imprese.
Denunciati i limiti (e non è la prima volta che lo facciamo), dico io, il tema va affrontato nella sua complessità.
Per usare una terminologia abusata è il sistema Paese che non regge, ormai da “qualche anno”.
Il problema è che di fronte alla virulenza della crisi economica e ai nuovi paradigmi dettati dalla competizione globale ogni nostro “limite storico” viene vieppiù ad evidenziarsi.
Quindi: limiti nel finanziamento della ricerca e dell’innovazione (ad es. assenza di sinergie tra pubblico e privato), scarsa utilizzazione e valorizzazione del sistema dei Parchi Scientifici, assenza di fondi di venture capital e evidenti difetti nell’erogazione del credito; limiti culturali del sistema imprenditoriale costituito in assoluta prevalenza da piccole e piccolissime imprese (98%).
Dulcis in fundo, limiti infrastrutturali dovuti alla carenza di infrastrutturazione in banda larga, fattore che contribuisce ad accentuare il digital divide imprenditoriale e la scarsa cultura imprenditoriale ICT. Ovviamente tutto ciò determina gravi conseguenze sulle capacità competitive delle imprese e impossibilità per i più giovani a dare vita a nuove imprese.
Se si vuole, questo è un programma di governo.
Mi ha incuriosito positivamente un articolo di Alberto Orioli apparso sul 24 Ore del 13 maggio: “L’affanno dell’impresa sottovuoto”.
Questo articolo mi ha portato a ragionare su questa affermazione: “Gli imprenditori hanno agito con l’innata intuizione dell’animal spirit. Ma gli studiosi direbbero che, per sopravvivere, quegli industriali hanno modificato il paradigma tecnologico delle loro aziende, sono passati dal core business alla core competence: oltre il fare, il sapere.”.
Ovviamente ci si riferisce a chi ha deciso fare un salto, ovvero di uscire dalla crisi innovando.
Lascio a voi questa riflessione, come transitare dalla priorità del core business (il fare) all’investimento, al rischio, per acquisire core competence.
Mi piacerebbe ne discutessimo insieme, secondo la nota teoria che è necessario -per raggiungere obiettivi di innovazione- fare squadra….condividere idee…fare squadra…
tratto dal Sole 24 ore già citato