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Crisi, banda larga, priorità.

Il Sole 24 ore nella giornata di ieri dava notizia di un documento “riservato” attraverso il quale Telecom (che pulpito!!!) informava, per l’ennesima volta, del divario del quale soffrono i distretti industriali italiani a causa della scarsa infrastrutturazione banda larga.

“Industria in deficit di banda larga” titola Il Sole 24 Ore.

Ovviamente non è una notizia. Da tempo in tanti, tantissimi, fino alla noia, abbiamo ripetuto inutilmente che la competitività nell’epoca moderna si gioca soprattutto sulla capacità di trasportare bit, informazioni, dialoghi.

Ripeto, lo abbiamo ripetuto fino alla noia.

E invece, Ponte di Messina.

E invece, taglio costante di ogni sostegno pubblico all’innovazione e all’infrastrutturazione Internet.

Siamo in crisi, si invoca non solo tagli, ma anche misure per lo sviluppo. Si invocano investimenti pubblici secondo note ricette keynesiane. Giusto.

Ma dove investire.

Il “new deal” si concretizzò, tra le altre, con un piano di importanti opere pubbliche: dighe, strade, ferrovie. In anni successivi il sostegno all’economia si tradusse anche nella costruzione di infrastrutture civili a sostegno di un “sistema Paese”.

Possibile che in Italia, nel 2011, non si capisca che gli investimenti nello sviluppo dell’uso del web costituiscono uno stimolo alla nostra industria, ai servizi, alla formazione. Possibile che non si capisca che il “new deal” in Italia è fatto di investimento nella banda larga e nella formazione di una generazione di saperi in grado di leggere e trattare dati per garantire competitività.

Speriamo bene che anche questa volta la banda larga non continui a restare “fuori dall’agenda”.

 
La banda larga fuori dell’agenda

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