Cosa c’entra Facebook con l’Agenda Digitale Italiana?
In questi giorni Facebook verrà quotata in borsa.
Unanimemente, secondo la stampa, la ricchezza generata dalla quotazione in Borsa di Facebook innescherà un circuito virtuoso costituito dal finanziamento della nascita di nuove startup e da una nuova ondata di innovazioni. Ovviamente avranno impulso anche i consumi privati.
Impresa, innovazione, generazione di nuova ricchezza, ancora sviluppo e innovazione. Ecco il circuito virtuoso.
C’é l’apporto di spesa pubblica? No!!!
Ecco perché non è sufficiente un’Agenda Digitale Italiana incentrata solo sulla modernizzazione della Pubblica Amministrazione. Questa azione va fatta, la chiedono i cittadini e le imprese, ma non è sufficiente. Non è un’Agenda Digitale.
L’investimento in I.C.T. nei settori privati non può più essere considerato dalle aziende un costo da tagliare in periodo di crisi. L’investimento in I.C.T. è fondamentale per lo sviluppo del tessuto imprenditoriale italiano costituito da piccole e piccolissime imprese.
Un processo di investimento in I.C.T. genererebbe ricchezza per le imprese interessate. Favorirebbe la nascita e la crescita di un indotto di nuove imprese innovative.
Andrebbero parallelamente adottate misure di defiscalizzazione degli investimenti in I.C.T., la formazione del personale (pubblico e privato), andrebbe favorito un intervento mirato da parte del capitale finanziario ecc.
Si potrebbe pensare alla creazione di piattaforme di crowdsourcing per lo scambio di buone pratiche tra imprese. La creazione di un marketplace virtuale.
Insomma. una bella ventata di innovazione in Italia.
Non sarà Facebook, però…
Vi consiglio inoltre la lettura di questo bell‘articolo di Luca de Biase.
2 risposte su “Facebook e l’Agenda Digitale Italiana”
Cosa pensate di Volunia.
Concordo pienamente. Ci sono troppe remore, in Italia, ad ammettere che l’innovazione e l’occupazione sono prima di tutto le imprese a crearla.
Come si può pensare che possa essere la PA, a guidare l’innovazione? Non si può.
Servono imprese creative e per averle – visto che la creatività in Italia non manca – serve soprattutto una cosa: i soldi.
Che male c’è ad ammetterlo?