La dualità inscindibile è costituita dalla realizzazione del digital first e, assieme, dalla realizzazione di processi trasparenti ex ante.
Come sapete, nelle scorse settimane, è stato reso pubblico il Piano Triennale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione 2017-2019.
Del Piano ho già scritto sul blog (Il Piano Triennale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione. Successo e fallimento) nei giorni scorsi.
Tuttavia, se vorrà avere successo, il Piano non deve restare, fin da subito, solo un importante atto di indirizzo. Il Piano deve essere collegato nelle sue linee di attuazione agli importanti provvedimenti legislativi presi dal Governo negli ultimi due anni.
Nei giorni scorsi il Dipartimento per la Funzione Pubblica ha pubblicato la circolare 2/2017 “Attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (FOIA)”.
La circolare, dopo le linee guida pubblicate dall’ANAC nel dicembre del 2016, chiarisce definitivamente gli obblighi delle PA verso i cittadini che intendano esercitare il loro diritto all’accesso generalizzato.
Di più, la circolare, prospetta alle PA l’urgenza di adottare scelte di carattere organizzativo senza la realizzazione delle quali l’accesso generalizzato si tradurrebbe esclusivamente in un aggravio lavorativo per i dipendenti senza, con questo, soddisfare alle richieste avanzate dai cittadini.
Afferma la circolare “Per promuovere la realizzazione del registro, le attività di registrazione, gestione e trattamento della richiesta dovrebbero essere effettuate utilizzando i sistemi di gestione del protocollo informatico e dei flussi documentali, di cui le amministrazioni sono da tempo dotate ai sensi del D.P.R. n. 445/2000, del d.lgs. n. 82/2005 (Codice dell’amministrazione digitale) e delle relative regole tecniche (D.P.C.M. 3 dicembre 2013).”.
Nelle metodologie gestionali si fa esplicito riferimento all’utilizzo corretto dei metadati.
E, ancora, “L’obiettivo finale è la realizzazione di un registro degli accessi che consenta di “tracciare” tutte le domande e la relativa trattazione in modalità automatizzata, e renda disponibili ai cittadini gli elementi conoscitivi rilevanti. Realizzare tale obiettivo richiede opportune configurazioni dei sistemi di gestione del protocollo informatico…”.
E, ancora, “le pubbliche amministrazioni sono invitate a valorizzare il dialogo con le comunità di utenti dei social media (Facebook, Twitter, ecc.). I richiedenti spesso rendono pubbliche su questi mezzi di comunicazione le domande di accesso generalizzato da essi presentate. In questi casi, e comunque quando si tratti di informazioni di interesse generale, è opportuno che anche le amministrazioni utilizzino i medesimi canali a fini di comunicazione.“
Di esempi come questi che, seppure indirettamente, prospettano rilevanti cambiamenti assieme organizzativi, culturali e di digitalizzazione dei processi, la citata circolare ne è disseminata.
Chi frequenta il mondo delle PA locali (non conosco i mondi ministeriali PAC ma, ne intuisco le distorsioni e l’opacità intrinseca) sa benissimo che i sistemi di protocollazione digitale, di conservazione, e di immediata attribuzione di un numero di protocollo non sono così diffusi come dovrebbero essere.
Quasi sempre il metodo più diffuso è quello del fascicolo ibrido (analogico e digitale assieme).
Ma, una corretta fascicolazione –a fini di consentire la completa accessibilità delle “notizie”, delle “informazioni”, dei “dati”- necessita di un utilizzo di piattaforme applicative orizzontali che mettano in connessione i silos verticali che contraddistinguono gli attuali sistemi procedimentali delle PA.
Parimenti, poiché i documenti di un fascicolo al quale è interessato un cittadino, possono essere il frutto di forme di collaborazioni (sic) tra diverse PA appaiono sempre di più necessarie scelte improntate alla interoperabilità tra le diverse Amministrazioni.
Chiedetevi come le PA si scambiano i supporti cartografici dal momento che le PEC non supportano il “peso” degli allegati e l’interoperabilità e lungi dal trasformarsi in realtà
Cosa c’entra il Piano Triennale per la informatizzazione della PA? Il Piano può essere fondamentale (seppure gerarchicamente “ancillare”) alla realizzazione di politiche improntate alla trasparenza “l’accesso generalizzato mira a rafforzare il carattere democratico dell’ordinamento, promuovendo un dibattito pubblico informato e un controllo diffuso sull’azione amministrativa” (art. 5, c. 2, d.lgs. n. 33/2013).
Come ho già affermato il Piano triennale è ottimo (forte) nelle parti inerenti la infrastruttura digitale, le piattaforme abilitanti e l’utilizzo dei dati, assolutamente insufficiente (pedagogico/irritante) nelle parti più operative dove manca ogni accesso alla necessaria –prodromica- riorganizzazione processuale.
La mia proposta è che il Piano Triennale di informatizzazione per le PA (previsto da AGID/CAD) si intrecci, in un unico atto esecutivo, con i Piani Triennali per la Trasparenza e l’Anticorruzione di cui le PA obbligatoriamente si devono dotare. I Piani per la Trasparenza oggi mancano di concretezza, rappresentano un mero adempimento burocratico. Come però sappiamo la “trasparenza” va organizzata.
I nuovi modelli organizzativi per le PA figli di processi collaborativi tra i dipendenti e i cittadini, i processi di digitalizzazione come quelli “astrattamente” (parte operativa sulla realizzazione) delineati dal Piano per l’Informatizzazione devono trasformarsi in un tutt’uno organico e, soprattutto, forte e concreto agli occhi dei cittadini.
La dualità inscindibile è costituita dalla realizzazione del digital first e, assieme dalla realizzazione di processi trasparenti ex ante come prescritto dal FOIA.
Come si potrà verificare, questa proposta è facilmente realizzabile a condizione di mettere assieme le diverse competenze e una forte volontà politica e amministrativa.
OVVIAMENTE, COME SEMPRE, PER APPROFONDIRE QUESTI ARGOMENTI CI BEVIAMO UN CAFFÈ ASSIEME