L’On. Silvia Fregolent del PD ha recentemente presentato alla Camera dei Deputati la proposta di Legge “Disposizioni per favorire l’innovazione e lo sviluppo tecnologico delle città (smart city)”.
Ovviamente é questa una iniziativa lodevole poiché si pone l’obiettivo di dare una definizione uniforme del territorio “smart” e così creare le condizioni per “viralizzare” le best practice e indirizzare al meglio gli investimenti, soprattutto quelli pubblici.
Fin qui tutto bene. Dove non ci troviamo è la definizione di “smart city”.
La proposta di Legge propone testualmente di definire come smart cities « i luoghi e i contesti, riferiti agli enti territoriali di livello comunale, metropolitano o di area vasta, nei quali siano stati avviati processi di innovazione ovvero siano stati adottati sistemi tecnologici finalizzati alla gestione innovativa delle risorse e all’erogazione efficiente di servizi integrati ».
Qui, ancora una volta, casca l’asino. I cittadini? gli smart citizen, i city user? Gli attori senza i quali il digitale non é nulla dove sono?
La smart city, nella visione della Proponente, é così viziata da un limite di fondo, si riduce ad essere un luogo di tecnologie.
Ovviamente la diffusione delle tecnolgie nelle aree urbane, nella proposizione delal Proponente, é coordinata centralmente. Ci si pone l'”obiettivo di ricondurre a unità le più diverse iniziative intraprese in materia di innovazione e sviluppo tecnologico delle città (smart city) attraverso la previsione di un’efficace sistema di governance, che si configuri anzitutto nell’individuazione di una struttura di coordinamento, che abbia una funzione di direzione, supporto e monitoraggio dei processi di innovazione; un sistema innovativo di organizzazione e di coordinamento delle smart city (come specificato dall’articolo 1 dedicato alle finalità) che sia attuato nel rispetto dei princìpi costituzionali di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza ed equilibrio di bilancio.”
Ma questo é un film già visto, é quello del Comitato per le Città Intelligenti, centralistico e, per questo motivo fallito.
Perché il P.D. non si pone invece un altro obiettivo, quello di valorizzare il ruolo dei cittadini negli ambienti urbani interessati dall’innovazione digitale?
Propongo questa definizione di smart city.
“La smart city é un ambiente urbano in continua trasformazione, nel quale i city user utilizzano consapevolmente le piattaforme e gli strumenti digitali. L’interazione consapevole genererà migliori relazioni con le Istituzioni, produrranno valore sociale ed economico, favoriranno pratiche improntate alla condivisione e all’inclusione”.
Come ben capirete l’agenda della Proponente é scandita dalla diffusione delle tecnologie e dal criterio quantitativo.
La mia ipotesi di agenda si basa invece sull’alfabetizzazione digitale, sull’inclusione sociale, sulla consapevolezza.
D’altronde la diffusione dell’economia digitale é destinata, anche nella variabile Internet of Tings, a scontrarsi con l’assenza di consapevolezza e e l’analfabestismo digitale.
Insomma, nella mia visione il cittadino é il soggetto protagonista dell’innovazione.
Naturalmente, come sempre sono a disposizione per confrontarmi.
Questa é un’occasione da non perdere.
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1 risposta su “Il P.D., le smart cities, l’occasione perduta …”
Quando ci siamo conosciuti la riflessione riguardava la necessità di includere i luoghi e le loro interconnessioni realmente presenti al momento della progettazione della Smart City . Il coinvolgimento degli urbanisti all’inizio non è stato semplice anche se il Master ” Il progetto della Smart City ” DIDA-UniFi comincia a radicarsi . Avrei voluto sin dall’inizio anche i demografi , potendo contare a Firenze sul prof.sen. Livi Bacci e i sociologi , l’allora ministro prof. Carlo Trigilia . Spero che la tua impostazione possa trovare il più ampio consenso .