In queste ore è stata resa nota la notizia secondo la quale Nokia abbandonerebbe il suo storico brand per trasformarsi in Microsoft Mobile.
È ormai evidente da tempo la crisi di Nokia. Nokia, che fino a poco tempo fa deteneva la più grande quota di mercato del mobile, era destinata ad un inevitabile declino e al suo fallimento.
L’incontro con Microsoft (azienda anch’essa arrivata in ritardo a capire che il futuro è Internet e mobile) ha consentito di ricostruire alcuni margini per riprendere a competere. Il destino del brand Nokia è a questo punto segnato inevitabilmente.
Ciò che mi interessa sottolineare -la mia riflessione- è che, anche in questo caso, si dimostra che l’innovazione -quella vera- è disruptive.
Per affermarsi le nuove tecnologie, i nuovi costumi, i nuovi stili di vita, le modalità comunicative, distruggono, rendono superate quelle che le hanno precedute.
10 anni fa un telefonino Nokia faceva tendenza; poi è arrivato l’IPhone e il mondo è cambiato.
Nokia non si è adeguata in tempo, Nokia è morta.
L’Italia non innova perché non è in grado di gestire gli effetti “disruptive” dell’innovazione. Nel nostro Paese non è concepibile la distruzione di qualche cosa per affermarne un’altra che funziona meglio, che è maggiormente utile. Vi posso garantire che questa mentalità non riguarda solo la Pubblica Amministrazione, facile bersaglio dei nostri strali.
Questa mentalità è estesa anche nel mondo privato. Troppo spesso l’innovazione si riduce a “digitalizzazione dell’esistente”.
Innovazione è capacità di adeguarsi ai nuovi processi e gestirli con una cultura autonoma per trarne il meglio.
Cosa mi preoccupa? Che questi processi non si fermano ai nostri confini nazionali, sono pervasivi e intensi. Mi viene da dire per fortuna.
Ecco perché l’Italia o si dota di una politica industriale in grado di valorizzare le potenzialità dell’Information technology, o continuerà il suo inevitabile declino produttivo.