Di seguito il testo dell’intervista che ho rilasciato ad Antonio Savarese su: “Data Manager OnLine”
“Attualmente, che piaccia o no, i cittadini usano la Rete per dialogare (cfr twitter, facebook) e gli stessi strumenti possono essere usati dalla Pubblica Amministrazione per le imprese, l’importante è che si abbandoni la cultura del monologo”
Si parla molto del futuro della PA, soprattutto in chiave 2.0, tuttavia fino ad ora i risultati sono stati davvero pochi, sembra che nessuno sia davvero interessato ad innovare, quali sono le ragioni? Perché ciò che viene fatto negli Usa non è replicabile in Italia?di questo ne abbiamo discusso con Michele Vianello –Direttore Generale di VEGA Parco Scientifico Tecnologico di Venezia.
Michele nei suoi quattro anni a Venezia promuove un cambiamento radicale nell’organizzazione della macchina comunale e nell’interazione tra PA e cittadini, con l’adozione delle filosofie gestionali “Web 2.0” e “Amministrare 2.0”. E’ ideatore delle politiche del Comune di Venezia in materia di banda larga e connettività wi-fi: con il progetto “Cittadinanza digitale” ha reso Venezia la prima città d’Italia completamente digitale, con connessione Internet wi-fi gratuita per tutti i residenti nelle piazze, biblioteche e uffici pubblici; con il portale “Venice Connected”, che intermedia decine di migliaia di ordini, ha contribuito ad innovare la gestione dei flussi turistici della città.
Qual è lo stato dell’arte dell’innovazione nella PA?
In Italia si è cominciato a parlare di Pubblica Amministrazione quando il ministro Brunetta in modo meritevole, non condivisibile ma meritevole, ha cominciato a porre il problema. Da quando Brunetta ha ridotto i suoi interventi di Pubblica Amministrazione non se ne parla più.
La riforma nella PA avviene per spinta esterna cioè per fattori esogeni e non perché dall’interno si decida di cambiare la pubblica amministrazione, questo è il limite.
Ma questo forse non è un problema legato solo alla PA?
Sì ma in un momento di crisi come questo, la riforma della PA è importante sia perché produce reddito, sia perché aiuta a crescere, in generale vale svariati punti di PIL.
E’ per questo che, credo, tutti dovrebbero essere tesi ad uno sforzo comune di riforma della Pubblica Amministrazione. Invece non mi sembra che questo stia succedendo in Italia.
Cosa succede invece in Europa?
In una serie di paesi europei, soprattutto nel mondo anglosassone ma anche nel nord della Spagna (a Bilbao per esempio) è in atto una vera rivoluzione digitale; usando le tecnologie 2.0 (che rappresentano il vero salto di qualità) come strumenti di collaborazione e fattori abilitanti per il cambiamento.
Il nocciolo del cambiamento sta nella fine dell’autoreferenzialità della pubblica amministrazione e in questo esercitano un funzione importantissima gli stumenti 2.0 in quanto si sviluppano solo se c’è collaborazione (a dimostrazione di ciò, si fondano sullo user generated content).
Il punto di snodo della questione infatti è proprio il rapporto con il cittadino, non è mettere più macchine né software, ma è il cambio di cultura e mentalità quello di cui c’è veramente bisogno. Da quello che vedo in giro nei Paesi dell’Unione Europea mi pare che proprio il rapporto con il cittadino sia un tema centrale.
Parliamo del Vega, com’è nato e quali sono gli obiettivi che si pone?
Il Vega può essere considerato un vero e proprio cambio epocale, ma ha gli stessi identici problemi degli altri. Nasce una decina di anni fa con l’obiettivo di recuperare zone industriali dismesse e in questo, diciamo, l’obiettivo è stato compiuto perché laddove c’erano fabbriche che avevano finito il loro ciclo storico ora ci sono gli edifici del Vega.
Il primo limite di questo progetto è il fatto di chiamarsi Parco Scientifico, cioè un parco che ha lavorato prevalentemente attorno al tema della ricerca. C’è stato infatti tutto un periodo di tempo in cui si è lavorato attorno all’insediamento di laboratori con inserimenti stocastici di imprese. Ovviamente questa politica ha prodotto alcune eccellenze ma oggi comincia a mostrare la corda. Ora inizia una nuova fase in cui il tema della sostenibilità ambientale dedicato prevalentemente al recupero e utilizzo dei territori con bonifiche, ciclo dell’acqua, trattamento dei sali industriali diventa un obiettivo primario su cui stiamo lavorando, non semplicemente come ricerca ma anche come insediamento d’imprese.
Stiamo lavorando per portare imprese all’interno del Vega, questo per favorire la comunicazione tra le imprese: le imprese non comunicano tra di loro, il parco scientifico deve invece essere un luogo in cui le imprese si parlano.
Nei prossimi mesi lavoreremo attorno a una serie di asset che altri luoghi d’Italia non hanno: banda larga di una certa dimensione, laboratorio di sperimentazione per le imprese attorno a quel grande tema che prende il nome di enterprise 2.0. Il nostro obiettivo è di sperimentare nuove forme organizzative che si basino sull’uso della Rete per consentire un recupero di produttività alla imprese. L’impresa italiana soprattutto quella piccola ha infatti un drammatico problema di produttività e noi volgiamo provare a mettere freno a questo fenomeno utilizzando nuovi modelli. Inoltre all’inizio del 2011 partirà il primo incubatore di imprese.
Quante imprese pensate di inglobare?
Attualmente in Vega ci sono già imprese di svariata dimensione ed entità. Per quanto riguarda l’incubatore io vorrei partire con un numero non superiore alle 5 – 10 imprese perché la richiesta che io faccio alle persone che decidono di venire da me è quella di diventare imprenditori con la voglia di rischiare.
Oltre ai partner universitari chi vi aiuta?
Ci sono reti di relazioni consolidate che vanno da Telecom per la gestione dell’uso della rete a Microsoft con cui stiamo ragionando moltissimo fino ad Engineering che a fine anno si insedia in Vega con 80 suoi ricercatori.
Inoltre ci sono altre imprese locali di eccellenza assoluta.
Parliamo della tua esperienza a Venezia come vicesindaco (con delega all’innovazione), tuo è stao il progetto diventato realtà di cablare la città come hai fatto?
L’innovazione è nata innanzitutto da un’alleanza importante: me, che costituivo la parte illuminata della politica, un gran sindaco come Massimo Cacciari e la parte innovativa della macchina comunale che era il direttore generale Vincenzo Sabato. A questo punto intuizione è stata quella di prendere la vecchia azienda informatica del comune, trasformarla in operatore di TLC e convertire in questo processo anche le persone che lavoravano lì. Inoltre io ero un vicesindaco molto potente (con molto consenso).
Ora stanno lavorando (facendo anche i conti con il bilancio) e si dovrebbe cominciare la fase due che è quella di coinvolgere operatori privati delle TLC per continuare l’operazione, che è poi quello che penso si dovrebbe fare in ogni città, cioè un’alleanza tra il pubblico ed operatori di TLC intelligenti.
Si parla tanto di condivisione e cittadinanza digitale. Si tratta di solo di slogan o davvero in un prossimo futuro i cittadini potranno diventare parte del sistema?
Attualmente, che piaccia o no, i cittadini usano la rete per dialogare (cfr twitter, facebook) e gli stessi strumenti possono essere usati dalla Pubblica Amministrazione per le imprese, l’importante è che si abbandoni la cultura del monologo.
Recentemente ho analizzato di un po’ di siti di grandi catene di vestiti e di scarpe, alcuni sono bellissimi graficamente, ma non consentono il dialogo, altri invece, come quello della Nike, ti consentono di progettarti la tua scarpa in rete. Ovviamente il secondo tipo di sito è il migliore, quello più efficace. Pensa se questo si potesse fare con la pubblica amministrazione: il cittadino che si costruisce alcune cose e poi la PA gliele fornisce. Se lo fa la Nike lo possiamo fare anche noi…
Quindi tu credi sia possibile?
Assolutamente sì. E con questo pensiero ho costruito il sito del Vega. Io uso molti strumenti di condivisione ed anche in Vega tutti i dipendenti usano strumenti di condivisione, non esistono pezzi di Vega che sono di qualcuno, tutto è condiviso.
Parlando di innovazione, secondo te perché la politica non crede che l’IT sia un’infrastruttura importante?
Innanzitutto perché in Italia abbiamo una forte predominanza dello strumento televisivo, che è uno strumento monodirezionale, mentre ormai avanza la cultura bidirezionale, quella dello scambio di informazioni. La politica però è abituata ad essere monodirezionale. Se analizziamo ad esempio le pagine dei nostri politici presenti su facebook, scopriremo che sono tutte monodirezionali, cioè sono create perché la gente scriva ciò che pensa ma il soggetto intestatario del messaggio non interviene mai per rispondere. Ciò che fa paura al mondo politico italiano è che in rete non esistono moderatori, “le dai e le prendi”, bisogna anche accettare chi dice che non è d’accordo. A questo il mondo politico italiano purtroppo non è abituato.
Non sarà mai possibile quindi avere un Obama in Italia?
E’ un problema di cultura… Quando la politica italiana smetterà di essere autoreferenziale allora i social media cominceranno ad essere usati. Obama in Italia non esiste perché non si può discutere continuamente di magistratura e leggi elettorali, bisogna far sognare la gente e allora sì che i social network diventano uno strumento utile.