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Digital Transformation

Quattro priorità per l’Agenda Digitale

Grazie agli amici della Lega delle Autonomie Locali, nei giorni scorsi il quotidiano Italia Oggi ho ospitato un mio articolo sull’Agenda Digitale.

Ne riporto, di seguito integralmente il testo.

Redigere l’Agenda digitale per un Paese è una attività di straordinaria importanza.

L’Agenda digitale non è rivolta solo all’innovazione della Pubblica Amministrazione. Innovare la Pubblica Amministrazione grazie all’Information technology è una sfida decisiva, ma tutto il Paese, compreso il mondo produttivo dell’industria, le attività commerciali, il mondo del turismo, tutto dovrà essere interessato da questi processi di cambiamento.

Le attività legate al turismo soffrono rispetto agli altri competitors perché la domanda è tutta sul web, mentre l’offerta è ancora largamente veicolata in modo analogico o subalterno ai fornitori di servizi su Internet.

Le piccole e le medie imprese italiane sono incapaci, facendo sistema, di innovare i loro modi di fare marketing e di vendere utilizzando le piattaforme web.

Nel mondo della grande impresa termini come “unified communication”, condivisione, crowdsourcing sono sconosciuti.

Non basta acquistare software e hardware. È l’uso innovativo del software e dell’hardware che farà sempre di più la differenza.

Soprattutto, il web, le piattaforme di social networking, fanno si che il cittadino, sia nei confronti della Pubblica Amministrazione, che del prodotto commerciale non intenda più svolgere il ruolo di un soggetto passivo.

“Le formiche hanno i megafoni”, grazie al web, sostiene a ragione Chris Anderson.

L’agenda digitale non è un settore produttivo; Internet pervade ogni aspetto della nostra vita e muta ogni settore dell’economia e della Pubblica Amministrazione.

L’agenda digitale sarà il cuore e l’anima della politica industriale di un Paese per gli anni a venire.

In questo contesto una Agenda digitale ha senso, ha un suo motivo di essere, se aiuta questo processo competitivo individuando e condividendo alcune priorità con i soggetti pubblici e privati.

Va valutato inoltre che Internet non consente politiche protezionistiche, Internet accentua ancora di più l’idea di mercati aperti e di sovra nazionalità.

Semmai, rispettando il dettato comunitario, il nostro Paese deve operare per promuovere misure fiscali (Irlanda docet) per far sì che gli OTT (Google, Amazon ecc.) si insedino nel nostro Paese e ci aiutino a sviluppare ecosistemi di innovazione. Da un processo come questo ne trarrebbero beneficio anche le imprese italiane che operano nel mondo dell’Information technology. Altro che web tax!!

Come si diceva, una agenda digitale dovrebbe individuare alcune priorità per tutto il Paese. Il “pubblico” poi, dovrebbe operare celermente per innovare sé stesso, le sue strutture, il suo modo di rapportarsi ai cittadini investendo importanti risorse o coinvolgendo i “privati” per investire rilevanti risorse economiche.

Tra l’innovazione nel mondo dell’impresa privata, della Pubblica Amministrazione e la domanda dei city user dovrebbe crearsi una profonda sinergia.

Purtroppo in Italia l’Agenda digitale si è concentrata quasi esclusivamente sulla Pubblica Amministrazione. I risultati negativi di questa impostazione culturale sono visibili a tutti.

Tuttavia avanzo quattro consigli per indirizzare una Agenda digitale recuperando in un contesto più ampio proposte condivisibili avanzate da Caio e da Ragosa.

Il nostro Paese ha bisogno di un piano per diffondere l’alfabetizzazione digitale.

Non si tratta di insegnare ad alcuni anziani ad accendere e a spegnere un PC. La politica, l’Amministrazione Pubblica, l’imprenditoria hanno bisogno (ovviamente assieme agli anziani) di massicce dosi di cultura digitale.

Il grande tema da affrontare è quello della consapevolezza delle straordinarie potenzialità che ci offre l’Information Technology. Il mondo della scuola e dell’Università ha bisogno, a partire dagli insegnanti, di essere alfabetizzato.

Internet, tecnologia della conoscenza e dell’informazione, cambia radicalmente le modalità di insegnamento e di costruzione dei saperi.

Le LIM servono a poco se le modalità di insegnamento sono quelle del secolo scorso.

Lo sviluppo non subalterno dell’uso dell’Information technology necessità di smart citizen. Domanda provocatoria: alzi la mano chi si ritiene digitalmente alfabetizzato? Vi accorgerete che il divide digitale dei nostri anziani è l’ultimo problema da dover affrontare.

Naturalmente è un imperativo categorico portare la fibra ottica (NGN) dappertutto.

Questa attività in Italia, nel senso comune, va affidata alle TELCO (a Telecom in primis) e allo Stato.

Naturalmente lo Stato dovrà fare la sua parte, questo è ovvio. Dovrà fare la sua parte provando a fare interagire le grandi dorsali che già oggi attraversano il nostro Paese o intervenendo laddove il “mercato” non garantisce investimenti. Ma, qui lo Stato deve fermarsi.

Sempre di più saranno i produttori di contenuti ad essere interessati alla diffusione della fibra ottica. La TV on demande è in espansione, i servizi di welfare innovativi necessitano di banda larga per essere erogati, Google ha bisogno di banda larga, Amazon ha bisogno di banda larga, Apple ha bisogno di banda larga.

Perché non coinvolgere i produttori di contenuti nell’infrastrutturazione delle nostre città? Evitiamo politiche provinciali protezionistiche che impegnano i fondi della Cassa Depositi e Prestiti.

Delegifichiamo l’Information technology nella Pubblica Amministrazione. L’introduzione dell’Information technology nella Pubblica Amministrazione è frenato dal Codice dell’Amministrazione Digitale. L’Italia è il Paese nel quale, per far abbandonare il fax alle Pubbliche Amministrazioni, ha bisogno di una legge dello Stato. L’Italia è il Paese nel quale l’operatività dell’Agenzia Digitale è ostaggio dei tempi della Corte dei Conti.

L’Italia è un Paese arretrato digitalmente nel “pubblico” per eccesso di legificazione. La proposta è che si legifichino solo alcuni principi –diritto universale all’accesso, open data, interoperabilità, ecc.-, ma che le modalità attraverso le quali si introduce l’Information technology –fatti salvi limiti di spesa e gli obiettivi- sia affidato alla libera iniziativa di ognuno. Naturalmente, secondo questo schema, le best practice  andrebbero obbligatoriamente condivise.

Le aree urbane sono il luogo dove l’innovazione può contribuire a mutare lo status quo aiutando l’affermarsi di processi di “governance” partecipativi, dove va affrontata la sfida della sostenibilità ambientale, dove possono essere cambiati i modi di lavorare e di produrre, dove è pensabile una riappropiazione dell’uso del tempo da parte delle persone, dove si può veramente innovare il welfare.

Si è discusso di smart cities per troppo tempo pensando esclusivamente alla quantità di tecnologie da introdurre.

Al contrario la città smart deve mettere al proprio centro le persone che consapevolmente utilizzano le tecnologie.

L’interrelazione tra lo sviluppo di Internet of Things, la diffusione del social networking come strumento di comunicazione tra le persone, l’uso delle piattaforme di cloud computing per assemblare dati provenienti da fonti diverse, la pervasività dei device mobili che ci consentono di essere connessi a Internet “sempre e ovunque”, l’insieme di questi fattori può cambiare davvero lo scenario delle città.

La smart city è un programma di governo perché si pone come obiettivo quello della gestione consapevole dei processi di innovazione, perché obbliga ad un salto culturale epocale le Amministazioni, gli stakeholders e i cittadini.

Come capirete bene questi suggerimenti cambiano davvero tutto.

Ma se si accogliessero potrebbero aiutare  il nostro Paese a inaugurare una inedita politica industriale.

 

Gennaio 2014

 

Michele Vianello

 

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